Nei comuni di montagna sono necessari i servizi e, tra questi, tra i più importanti ci sono quelli per l’infanzia, prerogativa necessaria per fermare lo spopolamento dei piccoli comuni e dei borghi. Se è vero che in Italia in media solo 30 bambini su 100 trovano posto al nido (e l’Europa ha fissato l’obiettivo del 45%), nei comuni montani e rurali questa percentuale cala al 16%.

È un tema che l’Uncem ha sollevato da tempo ma che è tornato al centro del dibattito politico quest’estate quando il bando nazionale nidi – un tesoretto da 735 milioni di euro –  aveva, di fatto, escluso i piccoli comuni, fissando parametri del tutto fuori scala per territori che hanno al massimo qualche migliaio di abitanti. Il bando aveva stanziato il 10% del totale per i piccoli comuni (circa 6000 Comuni)  che avessero trovato il modo di aggregarsi, una scelta che aveva trovato pochi sostenitori ma – spiega Uncem – escludendo le Unioni Montane e le forme aggregative già esistenti. I tempi strettissimi del bando hanno impedito a molti territori di potersi organizzare. 

«Anche prevedendo aggregazioni di Comuni, come detto dal Ministro a Uncem, e come Uncem da sempre sostiene, nonostante difficoltà per via della mancanza in Italia di strutturate aggregazioni quali Unioni montane e Comunità montane, non si sarebbero raggiunti i parametri del bando, quindi ad appannaggio solo delle aree urbane, grandi e medie città. Fortunate loro, – spiega Marco Bussone, presidente nazionale Uncem – mettere in condizione i piccoli Comuni di montagna di assicurare l’accesso a tutti i bambini da 8 mesi in poi, significa creare le condizioni affinché le giovani famiglie possano continuare a vivere nel proprio Comune senza doversi trasferire, magari attraendone delle nuove. Per ogni bambino che trova spazio in un nido ci sono almeno tre persone che rimangono a vivere in montagna». 

Secondo i dati di OpenPolis pubblicati nel 2021 circa il 6,6% della popolazione vive nei comuni ultraperiferici e tra questi ci sono anche i comuni di montagna, in queste zone però meno di 16 bambini su 100 trovano posto al nido. Ecco perché in montagna servono nidi, asili e scuole.  L’uncem, ad agosto, aveva chiesto al ministro Giuseppe Valditara un tavolo di confronto per riorganizzare la scuola, a tutti i livelli, nelle aree rurali e di montagna. «Da allora non è accaduto niente», prosegue Bussone. 

 I Comuni lavorano, con l’impegno dei sindaci e di chi gestisce il servizio,  per garantire i servizi. A Sestriere, il comune più “alto” d’Italia, in Piemonte, a metà settembre, è stata inaugurata la nuova sede dell’asilo micro-nido. La struttura è stata trasferita dalla vecchia casa comunale al municipio di piazza Europa dove hanno sede anche la scuola dell’infanzia, la primaria e la media. Una struttura più moderna e confortevole al piano terra con accesso diretto al parco giochi e alla zona verde attorno al comune. Un valore aggiunto per le nostre famiglie e per tutti i residenti che troveranno concentrati in un unico polo i servizi per l’infanzia», aveva spiegato il sindaco Gianni Poncet.

La mancanza di servizi, ribadisce Uncem, aumenta il rischio spopolamento che per molti comuni di Montagna è già una realtà. È emblematico il caso dell’Abruzzo. Secondo i dati OpenPolis infatti i comuni montani abruzzesi, tra il 2015 e il 2022 hanno perso il 6,2% della popolazione, quasi il doppio rispetto alla media regionale del 3,8%, un trend negativo che accomuna quasi tutti i territori montani ad eccezione del Trentino Alto Adige. Il Piemonte il calo è stato del 4,7%.

L’Uncem, di recente, ha scritto una lettera al ministro Valditara per sottolineare ancora una volta quanto la presenza dei servizi per l’infanzia sia fondamentale. «Il problema degli asili nido non è (solo) la costruzione, non sono gli immobili, bensì sono i costi di gestione che sono totalmente a carico dei Comuni. A differenza di tutti gli altri ordini di scuola l’asilo nido è l’unico per il quale anche tutto il personale è a carico dei Comuni e con le rette degli utenti si coprono meno del 50% dei costi, per cui molti Comuni decidono di rinunciare a quel servizio. Come fare a crearne di nuovi, in piccoli Comuni o anche tra piccoli Comuni insieme in convenzione? – si chiede l’Uncem – Un tema decisivo, quello dei costi dei servizi, per la gestione e il personale, che il Ministero dell’Istruzione non ha mai affrontato, lasciando il cerino in mano ai Sindaci. Se vogliamo dare servizi veri sulle fasce 0-6 e non solo, in linea con gli altri Paesi europei, anche nelle aree rurali, occorre cambiare passo e dare soluzioni vere, durature, finanziarie e organizzative, agli Enti locali».