Il soccorso alpino compie 70 anni
Aldo Pagani, 96 anni, decano del soccorso alpino, amante della montagna, racconta gli inizi di questa avventura iniziata nel 1954
«Settant’anni fa il soccorso alpino era tutto un altro pianeta». Aldo Pagani oggi ha 96 anni, ama la montagna come il primo giorno, ed è stato il fondatore della dodicesima delegazione canavesana del soccorso alpino nel 1956, due anni dopo la nascita del corpo. In 20 anni come volontario, e molti di più come appassionato della montagna e membro del Cai, ha conosciuto da vicino questa istituzione fatta di tecnici esperti, volontari, appassionati della montagna. Nato e cresciuto a Ivrea Pagani ha iniziato a frequentare monti con il Cai, a cui è ancora iscritto. Operaio Olivetti per 35 anni, ha lasciato la fabbrica perché voleva lavorare in montagna e oggi, dopo 85 anni di vita lavorativa ( ha iniziato a lavorare a 11 anni), ha ancora un ruolo nella gestione di impianti e alberghi di Chamois, in val d’Aosta.
Fu scelto come delegato della nuova squadra nata in canavese dal presidente del Cai dell’epoca. «Non ero l’alpinista più esperto, temevo di non essere all’altezza, ma il presidente mi disse che ero la persona giusta e io accettai».
La sua passione per la montagna è iniziata con il Cai «All’epoca, era l’unica organizzazione con cui salire in quota. Quando ero ragazzo non c’erano scuole di alpinismo, non c’erano le previsioni del tempo e pochissime documentazioni topografiche. Le uniche valide erano le mappe dell’istituto militare ma costavano molto care e non potevo permettermi di comprarle. Ricordo la prima volta che andai a Capanna Margherita con gli amici, comprammo una cartolina per orientarci – racconta – Ricordo che il Cai chiedeva qualche referenza prima di accettare gli alpinisti per le loro uscite. Una volta ne organizzarono una al Grand Combin e il mio curriculum non era sufficiente, così non mi permisero di andare con loro. Io per tutta risposta scalai il Cervino».
Il soccorso alpino e speleologico in Italia (Cnsas) ha iniziato la sua attività, nel 1954, con 139 interventi che hanno portato soccorso a 153 persone e consentito il recupero di 57 deceduti. A settant’anni di distanza il bilancio complessivo delle operazioni ha raggiunto la cifra impressionante di 232.551 interventi, un dato che riflette non solo l’intensificazione delle attività, ma anche l’evoluzione tecnologica e organizzativa del Corpo a livello territoriale, dal nord al sud Italia.
La tecnologia è stata una rivoluzione. «Ai miei tempi non c’erano gli elicotteri e figuriamoci i cellulari. Noi andavamo a piedi ovunque, ci siamo inventati i posti di soccorso con dei telefoni fissi, a disposizione degli escursionisti, nelle bettole del canavese; ma è stato difficile convincere i proprietari a farceli installare. Avevamo in dotazione al soccorso delle barelle in legno, bellissime, ma erano così pesanti che era impossibile caricare sopra un ferito. All’inizio però, più ancora della mancanza di strumentazione, fu complicato organizzarsi». Nessuno sapeva cosa fosse il soccorso alpino, fu difficile trovare volontari disposti ad assentarsi dal lavoro. «La Olivetti incentivò il soccorso, pagava il giorno di lavoro a chi prestava servizio, ma non capitava in tutte le aziende, anzi era cosa rara». Negli ultimi dieci anni, il numero degli interventi ha eguagliato i volumi registrati nei sessant’anni precedenti, a riprova del crescente ruolo del Cnsas nell’ambito degli interventi di soccorso in ambiente montano, ipogeo e impervio. L’operato del Corpo, in questi 70 anni, ha permesso di soccorrere complessivamente 248.096 persone. «Quando c’erano le vittime – ricorda Pagani – c’era poco da fare, se non recuperare i corpi. I feriti erano il nostro cruccio, si doveva fare in fretta, avevamo una minima preparazione di tipo sanitario. Ma l’intervento che ricorderò per sempre è quello di un’estate e l’alpinismo non c’entra. Quell’anno ci fu una grossa alluvione in val D’Ayas, la strada da Champoluc, a salire, era interrotta ma in cima c’era la colonia dei bambini Olivetti, e non si avevano notizie. In azienda erano tutti preoccupati, la radio e la televisione raccontavano cose terribili. Abbiamo raggiunto la colonia con grande preoccupazione, carichi di viveri. Quando siamo arrivati il direttore della colonia si è quasi messo a ridere. Era anche lui un volontario del soccorso, ci ha chiesto cosa fossimo andati a fare. Ci ha detto che avevano da mangiare per un mese, ci ha preparato una cena da re, poi ci ha rimandato indietro con tutto il nostro carico».