Il punto: Legge Salva Borghi
I piccoli comuni sono un punto di forza che deve essere valorizzato
I comuni non come punto di sofferenza. Piuttosto, come punti di forza. Questo il principio alla base del testo di legge uscito nel 2017 da un pensiero condiviso da politici, associazioni e unioni locali e di categoria calate sui territori che, con una prospettiva a lunga gittata, hanno tracciato un percorso da seguire per fornire alle aree lontane dai tessuti urbani strumenti adeguati a riportarle in primo piano nella progettazione, nelle attività, nelle risorse da nutrire e a cui attingere.
«Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni»: questa la dicitura con cui i firmatari hanno delineato la manovra che «favorisce il sostenibile sviluppo economico, ambientale e culturale dei piccoli comuni […], promuove l’equilibrio demografico del Paese, favorendo la residenza in tali comuni, e tutela e valorizza il loro patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico». Manovra orientata verso le piccole attività e i servizi essenziali, e verso l’afflusso turistico, che considera l’insediamento stabile di nuovi abitanti una risorsa a presidio del territorio, capace di prevenire il dissesto idrogeologico e portare avanti le azioni di tutela e manutenzione dei beni della collettività.
«L’idea della legge 158/17 nasce alla fine del secolo scorso – spiega Ermete Realacci, politico e tra gli autori del testo di legge –, quando Legambiente, Uncem, Coldiretti e altri alleati fondamentali collaboravano per portare in luce il tema delle aree minori, non solo delle aree interne, ma anche delle piccole isole, che occupano tanta parte del territorio italiano e che a tanto del Paese contribuiscono, con la produzione agricola e il lavoro delle piccole imprese. L’intento era quello di avvicinare tra loro tutti i soggetti che intessevano e valorizzavano la comunità. Primo a dare energia alla nostra idea è stato Carlo Azeglio Ciampi». L’obiettivo a lungo termine mirava a rendere questi territori abitabili in particolare dai giovani, per evitare che emigrassero altrove.
Non solo. «Si tratta di una manovra pensata per aiutare la strutturazione di politiche da parte di quelle Istituzioni che hanno minori possibilità di spesa, per quei centri che raggruppano meno di 5mila abitanti e, dunque, faticano a garantire la qualità dei servizi e registrano entrate ridotte» specifica Raffaella Mariani, attualmente Sindaco di San Romano in Garfagnana. Uno studio pensato per agevolare lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale, quindi. Insieme, per le attività che sono insediate in questa area: «i piccoli comuni, infatti, rappresentano un presidio alla tutela sotto ogni fronte di queste aree molto periferiche – prosegue Mariani –, sono comuni spesso interessati da dissesto idrogeologico, con arretratezza economica e privi di grandi industrie “traino”, e dove si vive tutt’ora un inverno demografico con invecchiamento della popolazione più che altrove». Questi comuni sono, infatti, spesso caratterizzati da scarsa connessione, con servizi sociali non paragonabili – in fatto di ammodernamento – a quelli delle aree urbane. La Strategia diffusa delle Gc punta, da un lato, a incrementare la dimensione digital e dei servizi, dall’altro, a dare nuovo valore al patrimonio storico e architettonico e ai beni ambientali e naturalistici. «Esempio virtuoso è il percorso che abbiamo seguito nell’ex-comunità montana della Garfagnana, costituita da 14 Comuni, dove la vocazione principale è quella rurale, ma in cui stiamo lavorando per il settore turistico, facendo leva anche sulla bellezza delle aree forestali. Allo stesso modo, ci siamo concentrati sull’efficientamento energetico e la realizzazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Tutto ciò è stato possibile solo lavorando insieme, perché in forma di associazione è possibile programmare una progettazione in cui ognuno si occupa di una parte. In pochi, invece, le forze sono limitate».
Solo insieme, come richiede l’articolo 13 della Legge, è possibile difendere un’identità comune. «La difesa dell’identità è sacra – aggiunge Realacci –. Questa è la condizione per l’apertura. Questa legge non è nata per difendere gli sventurati, perché se ci si pone sotto questa veste si ha perso in partenza. Occorre farsi forza di questa bellezza, del saper fare, della qualità. Questo richiede ancora politiche istituzionali e presidi adeguati. Ma occorrono investimenti». Questo il freno.
«Dei 160 milioni immaginati nel 2017, nulla è ancora stato speso – conclude Enrico Borghi, già Presidente di Uncem – e, oggi, il Pnrr è stato pensato senza fare riferimento alla Legge per i piccoli Comuni. Occorre una politica che poggi su una pianificazione più strutturata e creata in rete. Una politica che non sia figlia di una municipalità o dei bisogni di un singolo ente. E, soprattutto, occorre la competenza dei tecnici che siano di in grado di andare oltre i progetti occasionali per i bandi».