Il black out dei tartufi. Sotto accusa clima e gestione del territorio
Nel 2024 la stagione dei tartufi si chiude con due mesi di anticipo, una raccolta sotto le aspettative e prezzi alle stelle
Ufficialmente la raccolta dei tartufi si chiude ora, a fine gennaio, ma quest’anno è finita con quasi due mesi di anticipo: a novembre, in Piemonte, si raccoglievano i tartufi che, di norma, i tartuficoltori, trovavano a Natale. Il 2024 è un anno anomalo, e gli esperti si interrogano sul black out di una stagione che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto essere proficua per le piogge e l’umidità prodotta. Il fenomeno è stato generalizzato, in tutt’Italia.
Le ricadute – in una regione come il Piemonte che fa del tartufo un vanto – sono soprattutto economiche. Alla fiera del tartufo d’Alba, che si è chiusa a fine dicembre, i prezzi erano schizzati a 6500 euro al chilo. «Gli anni di siccità del passato potrebbero aver avuto effetti anche sul 2024 ma è ancora tutto da studiare e verificare», spiega Igor Boni, responsabile area territorio e agricoltura Ipla. L’ente da tempo studia fattori che favoriscono o ostacolano la produzione di tartufi in Piemonte, da 15 anni, per esempio, monitorano l’andamento di 5 tartufaie con l’uso di centraline che misurano i parametri meteorologici e l’umidità e la temperature a diverse profondità del terreno. Quei dati – che tengono conto della grave siccità del 2022 e del 2023 – avevano mostrato una riduzione della produzione.
Oltre al clima, gli esperti identificano un’altra ragione che potrebbe ridurre la raccolta: la gestione del territorio e dell’attività agricola. Le tipiche aziende agricole del Cuneese, dell’Astigiano e del Tortonese, per decenni hanno coltivato un po’ di tutto con terreni per le vigne, alberi, ettari di bosco gestito. «Questa varietà favorisce il tartufo – spiega Boni – il tartufo bianco, per esempio ha bisogno di alberi, luce e, ovviamente, dei terreni adatti che in Piemonte sono abbondanti». Con il secondo dopoguerra e la grande urbanizzazione che ne seguì, una parte di terreni agricoli venne abbandonata: quei territori tornarono a essere boschi ma, questa volta, senza gestione. Dall’altra parte, l’agricoltura ha subito un forte processo di specializzazione: intere aree adatte alla produzione di vini sono state coltivate a vigna in modo esclusivo, eliminando, con il tempo, tutto quello che non era funzionale a quella produzione, alberi compresi. «La soluzione non è semplice, occorre rimettere gli alberi dove non ci sono alberi e gestire i boschi dove non sono gestiti – prosegue Boni – in tutto questo si inserisce il cambiamento climatico. A guardare i dati, la temperatura cresce e in Piemonte cresce con una velocità maggiore della media mondiale, le precipitazioni si riducono leggermente, ma cambiano nella modalità, intense dopo lunghi periodi di siccità. Questo ha un’influenza sul tartufo la cui produzione è condizionata da temperatura e umidità. Ma gli effetti di tutto questo devono ancora essere approfonditi».
Del futuro di questo prezioso prodotto della terra si è occupata, a inizio dicembre, il convegno Tuber Next Gen, organizzato dal centro studi nazionale tartufo e dell’Ente fiera di Alba. In occasione della 94 fiera del tartufo anche la Regione ha convocato gli stati generali della tartuficoltura per fare il punto della situazione.
Il piano della Regione Piemonte per promuovere il tartufo
«Condividiamo con il presidente del Centro studi Antonio Degiacomi qualche timore per una raccolta inferiore alle attese nonostante le abbondanti piogge che hanno contrassegnato l’intero anno. D’altronde tutti gli esperti ci hanno messo in guardia sui rischi legati in particolare alla siccità. Questo allarme ci sprona ad andare avanti con maggior determinazione sulla strada tracciata per proteggere e valorizzare il prodotto simbolo dell’eccellenza in Piemonte», dice l’assessore alla biodiversità Marco Gallo.
Tre le azioni che la Regione ha messo in campo. La prima riguarda la data di raccolta del tartufo, posticipata ad inizio ottobre. Una scelta maturata proprio da una discussione nella Consulta regionale e che a stagione inoltrata – la raccolta del tartufo bianco finisce il 31 gennaio – è stata apprezzata da tutti. Un’altra misura importante riguarda la tutela del patrimonio arboreo, con più di 22 mila piante segnalate come produttive, per le quali i proprietari si impegnano al mantenimento e alla cura in cambio di un’indennità annua pagata dalla Regione che può arrivare a 450 euro per ettaro. La terza misura diventerà operativa nel nuovo anno e punta al recupero delle tartufaie in declino di produzione. Proprietari, Comuni e associazioni potranno chiedere un sostegno economico per interventi di gestione forestale che incrementino la produzione del tartufo bianco. Durante la riunione della Consulta si è fatto il punto anche sulla possibilità per aziende e proprietari di terreni agricoli di ottenere contributi legati allo sviluppo rurale per realizzare nuovi impianti sia per la tartuficoltura sia per piantare alberi che incrementino la biodiversità.