A scuola di montagna, un modello made in Piemonte
Il progetto che supporta chi vuole trasferirsi in montagna, nato nel 2017, oggi è diventato un format che altre città sono interessate a replicare.

Non tutte le rivoluzioni sono improvvise, soprattutto quelle che comportano grossi cambiamenti. E la decisione di mollare la vecchia vita per trasferirsi in montagna rientra sicuramente in questa categoria. È una scelta che richiede progettazione, mezzi e una certa capacità di proiettarsi nel futuro.
«In questi anni abbiamo incontrato persone di tutti i tipi: c’era chi aveva un progetto in mente ben avviato, chi era in una fase così preliminare da essere ancora alla ricerca di una casa», raccontano il sociologo Andrea Membretti e Alberto Magni di SocialFare |Centro per l’Innovazione Sociale che, insieme al Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, ha dato vita nel 2017 al progetto Vado a vivere in Montagna (all’interno del progetto Innovare con il supporto della Compagnia di San Paolo), poi diventato Vivere in Montagna e oggi finanziato dalla Città Metropolitana di Torino.
Quel progetto, nato come uno sportello informativo per chi aveva in mente di trasferire la propria attività e la propria vita nelle terre alte, è diventato un modello scalabile che altre città sono interessate a replicare. Negli anni il progetto si è rafforzato, da un lato rinsaldando il legame con gli stakeholder montani e, dall’altro, raccogliendo le esperienze di chi aveva già intrapreso quel percorso. «È stato un servizio nato dal basso che, seppur con il patrocinio delle fondazioni e poi l’ingresso di enti pubblici, intercettava un’esigenza reale», prosegue Magni.
Aperto per supportare lo sviluppo di attività imprenditoriali in montagna, negli anni lo sportello ha cambiato in parte pelle, perché chi lascia la città per la montagna spesso lo fa come scelta di vita a tutto tondo e non solo con l’idea di avviare un’attività lavorativa. Anzi, più spesso, il lavoro è solo il mezzo per potersi trasferire in quota.
«Così è nata a complemento dell’attività di Sportello anche la Scuola di Montagna, che fa formazione a 360 gradi», spiega Magni.
I posti ogni anno sono 20,sono raddoppiati fin da subito rispetto agli iniziali 10 ipotizzati nella prima edizione dell’iniziativa a fronte delle molte richieste. La candidatura si presenta online e chi viene selezionato partecipa a una scuola di tre giorni, in cui vengono affrontati i principali temi di avvicinamento al contesto montano: dalla casa alla burocrazia, dall’esperienza di vita al lavoro.
«Gli unici requisiti per partecipare alla formazione, che è completamente gratuita, sono la maggiore età e una buona conoscenza dell’italiano – spiega Membretti –. Nel selezionare le domande cerchiamo di distribuire equamente i posti in funzione del genere dei richiedenti e della loro provenienza, perché molte richieste arrivano anche da altre regioni. Abbiamo selezionato persone che ci hanno contattato dalla Sicilia, da Roma e dall’Emilia-Romagna».
Chi cambia vita di solito lascia la città, spesso una grande città, e quasi nessuno arriva da esperienze di campagna o è disoccupato. I lavoratori che si trasferiscono scommettono su nuove attività o rispondono alla richiesta del mercato nei territori di montagna, ma sono tanti anche i pensionati che cercano un invecchiamento attivo in montagna. La maggior parte di loro ha figli molto piccoli oppure già grandi, questo perché il tema della scuola e dei collegamenti, in certi territori, non è banale.
Il progetto, che pure non prevede costi per i partecipanti, fatica ancora a intercettare invece quella fascia di popolazione più fragile, fatta di immigrati o persone con una posizione lavorativa particolarmente difficile. Questo perché il cambio di vita non è comunque una scelta a costo zero, dato che comporta un trasferimento e l’acquisto o l’affitto di una casa.
«Ma vogliamo sfatare il mito che si tratti di una scelta economicamente molto costosa: a volte richiede risorse economiche ridotte», dicono gli esperti del progetto.
La Scuola di Montagna, che in Piemonte funziona e si replica da almeno sette anni, è diventata un modello anche fuori dalla regione. Un esperimento quasi identico è nato a Bologna, e chi lo ha creato ha partecipato all’esperienza della Scuola di Montagna proprio in Piemonte. Altre regioni si sono rivolte al progetto piemontese per avviare percorsi simili.
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