Salviamo i prati stabili e i pascoli
Intervista a Serena Milano, Direttrice di Slow Food Italia.
Esiste un’attività in perfetto equilibrio fra tutela dell’ambiente e produzione di reddito? O qualunque intervento umano è sempre sbilanciato: dalla parte della natura o del profitto? Ne parliamo con Serena Milano, Direttrice di Slow Food Italia.
«Il perfetto equilibrio esiste: si chiama prato stabile. Lo si trova sulle Alpi, sugli Appennini, in collina, ma anche in pianura, nel regno dell’agricoltura intensiva, la pianura Padana, dove ne sopravvivono porzioni importanti. Sopravvivono, ma ogni anno diminuiscono: in montagna per via dell’abbandono, in pianura per la ragione opposta, l’avanzare di monocolture e cemento. I prati stabili inoltre possono trasformare l’allevamento da uno dei settori con un impatto maggiore sull’ambiente a un’attività che contrasta la crisi climatica. Il principale strumento per trattenere CO2, infatti, è il suolo, capace di assorbire 1/4 delle emissioni prodotte dall’uomo. Una capacità che cresce con la fertilità e la ricchezza di vegetazione. Per questo il suolo ricoperto da prato stabile è in cima alla lista delle soluzioni, addirittura più del bosco, perché non corre il rischio di liberare in pochi minuti tutto il carbonio custodito a causa di un incendio».
Anche per questo Slow Food ha messo i prati stabili, i pascoli e i caci che li raccontano, al centro della sua strategia e della prossima edizione di Cheese, a Bra dal 15 al 18 settembre. Quali sono le caratteristiche principali del prato stabile? «Il prato stabile è allo stesso tempo fragile e poco pretenzioso: non deve essere arato, dissodato, coltivato. Può essere irrigato e fertilizzato, ma solo con il concime degli animali. In montagna spesso è un pascolo, mentre in pianura si sfalcia per fare fieno. Ha un’età variabile, da qualche anno a più di un secolo, ed è ricco di biodiversità. In montagna si arriva a più di 100 essenze, in pianura almeno 15, 20. Il pasto ideale per gli impollinatori e per i ruminanti, che l’allevamento intensivo ha trasformato in consumatori di mais e soia, ma che, per loro natura, dovrebbero mangiare erba per trasformarla in un latte molto diverso da quello che troviamo quasi sempre sul mercato».
Come cambiano i prodotti caseari in funzione dell’alimentazione deli animali? «Se gli animali mangiano erba e fieno di prato stabile, latte e formaggi sono ricchi di molecole antiossidanti (come beta-carotene e vitamina E) e di omega 3, acidi grassi importantissimi nel metabolismo del colesterolo, e hanno uno spettro di sapori e profumi più ampio e complesso. Insomma, sono più buoni e più sani».
Il progetto dei prati stabili è sostenuto da Eataly e Consorzio del Parmigiano Reggiano ed è realizzato in collaborazione con: il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA) e il Dipartimento di Scienze Veterinarie (DSV) dell’Università di Torino, l’Università di Palermo, l’Università di Camerino, l’Institut Agricole Régional della Valle d’Aosta, la Fondazione Mach. I partner tecnici sono Agricoltura Simbiotica e Laboratorio Chimico della Camera di Commercio di Torino.
salviamo i prati stabili e i pascoli perché…
- sono oasi di biodiversità: di erbe, arbusti, insetti, uccelli e altri piccoli animali selvatici
- sono importanti per la salute: il latte di animali nutriti con erba e fieni di prati stabili è ricco di vitamine e altri antiossidanti, soprattutto di omega-3
- fanno bene agli animali: brucare le erbe preferite, sdraiarsi a ruminare, migliora il loro benessere
- sono serbatoi di carbonio: non lo rilasciano facilmente, neppure se scoppia un incendio, perché lo trattengono nelle radici
- sono un patrimonio culturale: prati e pascoli sono legati alla cultura pastorale e al suo patrimonio di saperi
- mantengono l’equilibrio del territorio: dove c’è un prato ben gestito, è più difficile che divampi un incendio o che si formino slavine
- sono un’opportunità economica: dai prati stabili si ottengono prodotti di eccellenza
- sono colmi di bellezza: sono importanti per conservare i paesaggi, una parte importante della cultura e dell’identità delle comunità locali.
di Francesca Corsini
foto di apertura di Paolo Andrea Montanaro