Intervista a Riccardo Santolini, professore di ecologia all’Università di Urbino.

La strategia nazionale individua come ambito d’azione i territori rurali e di montagna che intendono sfruttare in modo equilibrato le risorse principali di cui dispongono, tra cui acqua, boschi e paesaggio, e aprire un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane, in modo da poter impostare un piano di sviluppo sostenibile non solo dal punto di vista energetico, ma anche ambientale ed economico. Le Green Community sono infatti un pacchetto di tre articoli che comprende anche Oil Free zones e pagamento dei servizi ecosistemici, ovvero quella serie di servizi che i sistemi naturali generano a favore dell’uomo – acqua, regolazione dei gas atmosferici, impollinazione – che sono normalmente gestiti da singole comunità ma vanno a beneficio di interi territori.

Come si può delineare un territorio in cui sviluppare quella serie di azioni socio-ecologiche utili alla collettività indicate nell’art. 72 della 221/2015?

Bisogna definire un ambito specifico e dare concretezza alla sua applicazione. È l’oggetto stesso della norma che definisce gli ambiti (acqua, boschi e paesaggio) per delinearne i confini. Nello specifico è necessario studiare e riconoscere la direzione del flusso dei beni generati dalle funzioni ecosistemiche, dall’area di origine a quella di utilizzo. Nell’ambito dell’acqua dovremo considerare un bacino idrogeografico, i boschi e i paesaggi di quel bacino. Se consideriamo le entità ecosistemiche, i confini vengono disegnati direttamente dalle funzioni ecologiche che la Green Community deve gestire. Settori di governo diversi da quello ambientale preferiscono però mantenere liberi gli spazi da utilizzare e le risorse da gestire in un rapporto economico distorto e fuori scala. C’è invece bisogno di ridare identità e riconoscere funzioni socio-ecologiche a territori e ad attività che sono la base generante del benessere delle comunità urbane e metropolitane oltre che delle proprie.

Si tratta dunque di ripagare, mantenere e valorizzare gli ecosistemi che producono le risorse di cui tutti beneficiamo. Da dove partire?

Dal valutare e pianificare il funzionamento del capitale naturale, garantito dalle “unità di lavoro” (gli ecosistemi) che ne sono l’architettura fondamentale e funzionale. I servizi ecosistemici di regolazione e di supporto sono l’espressione vitale di un territorio e la loro naturale e costante azione favorisce l’erogazione degli altri servizi ecosistemici culturali e di approvvigionamento. In montagna, l’offerta di questi servizi ecosistemici supera la domanda potenziale di ben tre volte. Se vogliamo sviluppare nel concreto un approccio sostenibile, è necessario individuare le dinamiche delle funzioni ecologiche che generano i beni e da cui una popolazione trae il suo beneficio. Le Green Community devono prepararsi a gestire questo capitale studiandone i flussi, organizzandone la gestione e trasformandosi da oggetto a soggetto politico nel rispetto delle regole di un approccio ecosistemico e di sostenibilità forte. Green new deal, Green economy, Circular economy, saranno solo parole evocate finché non si riconoscerà una perequazione territoriale tra chi produce e mantiene, e chi consuma.

 

di Elena Fassio