“Quelli del Genepy”: un’impresa tra amici nelle Valli di Lanzo Piemontesi
Un’avventura imprenditoriale partita come un gioco è diventata un piccolo ma importante punto di riferimento per la vallata, grazie al riutilizzo di terreni abbandonati e alla produzione di liquori tipici dell’arco alpino
Ci sono l’elettricista e l’orafo, l’istruttore di arrampicata, l’amministratore aziendale e il progettista. Sono loro “Quelli del Genepy”, cinque amici torinesi, ognuno con il proprio lavoro, che alcuni anni fa, durante l’università, hanno deciso di lanciarsi in un progetto ambizioso e un pò folle: recuperare terreni abbandonati o poco utilizzati in montagna per dare il via a una coltivazione di Genepy, uno dei liquori identificativi dell’intero arco alpino.
“Siamo tutti dei grandi amanti della montagna, ma nessuno di noi aveva mai avuto prima un’esperienza nell’agricoltura. Abbiamo imparato sul campo, un passo dopo l’altro”. Ci racconta uno dei cinque amici, Dario Soldera.
L’occasione nasce nel 2016 con un primo piccolo terreno inutilizzato, ottenuto con un contratto di comodato d’uso, a Balme, nelle Valli di Lanzo piemontesi. “Inizialmente la nostra idea era quella di limitarci a coltivare le piante di genepy per destinarle alla vendita all’ingrosso.
Non avevamo previsto la parte di infusione, produzione e distribuzione”. I primi riscontri positivi e un entusiasmo crescente nel vivere questa avventura hanno portato i cinque
giovani imprenditori a un cambio di rotta. I campi sono diventati tre, tutti nella medesima zona intorno a Balme: al primo piccolo esperimento si è infatti aggiunto un terreno molto più esteso a Pian della Mussa a 1850 metri e un altro ancora in Val Servin. Ma, soprattutto, dalla semplice coltivazione si è passati alla produzione grazie alla fondamentale collaborazione con una distilleria del territorio. Non più solo Genepy: la proposta di “Quelli del Genepy” si è estesa anche al Serpoul, liquore tipico delle zone del pinerolese, ottenuto attraverso la macerazione alcolica del fiore della pianta di Timo Serpillo, e all’Achillea, ottenuta tramite la coltivazione di una pianta tipica alpina come l’Achillea Millefolium.
“Il nome del nostro brand è nato per caso: quando andavamo in Valle gli abitanti dicevano “ecco quelli del Genepy”… da li ci è sembrato normale chiamarci così, anche se non produciamo soltanto Genepy ma abbiamo ampliato la nostra offerta”. Prosegue Soldera.
A una produzione assolutamente artigianale va di pari passo una conduzione dell’attività altrettanto artigianale. Sono poco più di 2.000 le bottiglie vendute all’anno, specialmente nei mesi invernali. La distribuzione è minima e vive principalmente su contatti personali. È possibile trovare i prodotti presso alcuni rifugi alpini del Piemonte e in alcuni locali di Torino. Si vende anche ai privati in occasione di eventi, fiere, mercatini.
Un progetto tra amici amanti della montagna che, per ora, non ha ancora fatto un passo decisivo in avanti per diretta volontà dei protagonisti: “Lo viviamo come un hobby, un’attività aggiuntiva al nostro lavoro principale, un’occasione per goderci la montagna in un modo più intimo e fare qualcosa per lei”.
Eppure l’idea di ingrandirsi è sempre in agguato “Ci pensiamo continuamente ma non si sono ancora allineati i pianeti per poterlo fare, ma presto o tardi succederà”.
L’entusiasmo, però, è lo stesso di quando sono partiti “Siamo felici perché abbiamo creato qualcosa di concreto e importante partendo dal nulla. Con la nostra attività abbiamo dato un valore a terreni altrimenti inutilizzati e contribuiamo alla promozione di questo splendido territorio” aggiunge Soldera. Gli anni di attività hanno portato anche a riflessioni necessarie sulla montagna e sul modo corretto per viverla e farla crescere “Noi non siamo il classico esempio di giovani che abbandonano la città per andare a vivere in montagna e non è neanche quello che vogliamo. Le nostre radici sono fortemente legate alla città dove viviamo e lavoriamo. Abbiamo creato un dialogo tra città e montagna, abbiamo fatto entrare in contatto i due mondi esaltando gli aspetti positivi di entrambe e sfruttandone al meglio il potenziale. Ritengo che questo sia un modello interessante da seguire. Ci siamo accorti di come le persone di città vivano la montagna in modo assolutamente passivo. Ne cercano gli aspetti idilliaci e bucolici durante la loro permanenza ma una volta finito il loro breve periodo di vacanza se ne tornano a casa e dimenticano tutto. La montagna ha bisogno di nuove attività da lanciare e rilanciare, c’è la necessità di farla vivere e di valorizzare tantissimi luoghi e realtà meno conosciuti dalla massa. Noi, nel nostro piccolo, lo stiamo
facendo”. Conclude Soldera.